Il quinto capitolo di King’s Quest, The Good Knight, chiude l’avventura del vecchio re Graham tanto quanto quella dei The Odd Gentlemen. Non è facile parlarne: per casualità, sfortuna, fato o cattive decisioni, qualunque sia la vostra interpretazione, gli eventi del mondo reale hanno lasciato un solco nel mondo virtuale di Daventry.

Nel mio pezzo sul quarto episodio avevo già fatto notare come i tagli al budget, sia di tempo, sia monetario, avessero portato a un prodotto parecchio sottotono, salvato solo da un paio di ottime scene. Nel capitolo cinque, però, i The Odd Gentlemen sembrano aver riversato tutta la loro frustrazione.
L’intero tono dell’episodio è miserabile: re Graham è alle porte del paradiso. Il frutto magico che la principessa Rosella gli portò, decenni or sono, per guarirlo (era la trama di King’s Quest IV, ricordate?) ha allungato la sua vita ben più del normale, ma non lo ha reso di certo immortale. Sebbene sempre candido e cordiale, è ormai un uomo stanco, incapace di reggere la sua stessa energia, incapace di ricordare, incapace di continuare l’avventura, la cui conclusione permanente è a un soffio di distanza.

Il suo ultimo racconto per la nipotina Gwendolyn è danneggiato dai buchi della senilità. Re Graham lamenta i dettagli che non ha “fatto in tempo a raccontare”, mentre la nipotina lo rassicura che la storia le è piaciuta comunque. Gli eventi assumono un tono più surreale del solito, lo stesso narratore non è più sicuro di cosa sta dicendo. Pezzi di mondo si ripetono dagli episodi precedenti, vanno e vengono, finché il vecchio re è costretto ad arrendersi all’evidenza che non riuscirà mai a finire la storia in modo soddisfacente. Il suo tempo è scaduto, era scaduto già da decenni, la sua testardaggine nel voler continuare ha lasciato solo un’ultima storia tragicamente incompleta.

Sebbene l’episodio ci lasci con un barlume di speranza a illuminare la piccola Gwendolyn, confermato dal mini-episodio epilogo appena rilasciato, c’è solo tanta tristezza in quest’ultimo capitolo. Chiunque abbia perso un nonno o una nonna a cui era affezionato, abbia visto l’effetto della senilità e l’abbia seguito nei suoi ultimi anni, fino a una morte arrivata sempre troppo presto, non può non sentirsi toccato da The Good Knight. La tristezza per il destino di Graham è ancor più amplificata dalla tristezza per la serie di King’s Quest, l’andamento del progetto e l’affrettata resurrezione del brand.
Voi fortunelli del futuro, voi che magari comprerete la serie completa in sconto tra qualche anno e ci giocherete d’un fiato in un giorno solo, voi forse spenderete una singola lacrima per il vecchio re, ma è per noi che abbiamo seguito il progetto in questo lunghissimo, tortuoso anno e mezzo, è per noi che suona la campana funebre. Voi del futuro non avrete lo stesso contesto e forse sarà meglio così. Vedrete solo un’avventura che, sebbene solidamente scritta, almeno a livello di personaggi ed emozioni, non fa altro che declinare in production value e idee per ogni episodio.
Voi del futuro vedrete i buchi lasciati nella trama, le inconsistenti motivazioni di Manannan e il suo affrettato e surreale duello finale con re Graham. Vedrete gli scarti lasciati in produzione, messi assieme alla bell’e meglio per colmare un paio d’ore prima del finale. Vedrete tutte queste cose, forse vi chiederete perché, vi gratterete la nuca per poi decidere che l’esperienza è stata troppo tiepida perché ve ne freghi qualcosa.

È per voi del futuro che lascio queste parole: date un’occhiata alla produzione del gioco. Scopritene il contesto, e capitelo, perché quanto accaduto al di fuori del prodotto ha influenzato direttamente quello che c’è dentro. È importante saperlo.
Noi del passato abbiamo sofferto in tempo reale la lenta morte di re Graham, re gentile, re misericordioso e, soprattutto, re dell’avventura.
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Perché no: |
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