Pubblicato il 25/09/14 da Neko Polpo

Tonzilla: intervista allo sviluppatore

Di seguito proponiamo la seconda intervista dal GameOver di Milano: abbiamo fatto quattro chiacchiere con Stefano Cecere, autore di Tonzilla, titolo in cui vestire i panni di un grande mostro per distruggere tutto urlando e cantando nel microfono, e per disintegrare pacificamente un mondo intero, grazie ad uno strumento troppo spesso banalizzato: la voce.

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Gabriele Raimondi: Chi c’è dietro al progetto Tonzilla? Chi è Stefano Cecere?
Stefano Cecere: Io ho iniziato a sviluppare più di vent’anni fa, su Amiga, con giochi come Hypnotic Land. Stavo iniziando la mia carriera da “videogiochista”, poi mi hanno chiamato a fare CD-ROM, era il periodo di “boom” dei cd multimediali. Appena è uscito Quick Time della Apple, la mania è esplosa. Da lì ho iniziato a fare il musicista, e ho passato dieci anni da musicista-programmatore. Essendo smanettone del computer ho iniziato a programmare sintetizzatori. È stato un momento di passaggio dall’analogico al digitale, e quindi i ragazzini nerd erano messi bene! Quando mi sono rotto di fare il musicista sono ritornato a fare il programmatore. Finché un giorno è arrivato il buon Unity, che mi ha ricordato l’Amos (con cui sviluppavo i giochi per Amiga), e intanto mi era rinato l’interesse per il 3D e la realtà virtuale. Adesso ho anche un bambino di sei anni, e vedendo il potenziale educativo-creativo che hanno queste applicazioni nella formazione dei soggetti, ho deciso di lavorarci, mettendo in pratica la cosa che so insegnare meglio, ovvero la musica. Ci sono molte applicazioni educative per bambini, ma poche sulla musica.

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Hypnotic Land.

G: E dunque come si inseriscono tutti questi tuoi interessi in Tonzilla?
S: Sin da ragazzino mi interessano le cose che oggi vengono chiamate “serious game” ed “edutainment“, in sintesi il concetto “giocando si impara“. Molti si stanno accorgendo del potenziale educativo dei videogiochi, negli ultimi anni. Dopo aver fatto un po’ di gavetta con Unity, ho deciso che era il tool perfetto per me: ero stanco della “monopiattaformità”, volevo sviluppare su più piattaforme. Con Unity e l’arrivo degli smartphone si è aperta una nuova finestra per gli indie, e in generale per i piccoli sviluppatori, che possono fare un prodotto interessante in pochi mesi. Ho deciso così di creare il mio “primo gioco”, incentrandolo sulla musica. Mi sono detto che sarebbe stato interessante creare un gioco in cui usare la voce per interagire con tutto. Noi siamo molto compressi e difficilmente ci sfoghiamo come si deve: tirare fuori la voce sarebbe una cosa bella per combattere la timidezza, per riuscire a portare fuori cose normalmente difficili da dire. Da un lato, questo era il mio obiettivo psicologico. Dall’altro lato, c’è da dire che quasi tutti usano la voce malissimo, tanti hanno una respirazione molto alta, una voce molto di gola, fanno un urlo e si sgolano. Usando il diaframma e una respirazione completa si potrebbe sforzare meno la voce. Per non parlare della musicalità: so che pochissimi hanno elementi di teoria musicale, e che pochi sanno qualcosa di musica o sanno cantare bene dietro una canzone. Chi è fortunato, magari, è intonato, ma se vai a chiedergli la scala delle sette note ha dei problemi. Chi non è andato alla scuola musicale non conosce la musica. E poi si inizia a studiarla alle medie. Mi sono detto che Tonzilla doveva essere facilmente utilizzabile dai bambini. E da qui l’idea del mostro, che fa parte di un immaginario che ha presa sui piccoli ed è comunque molto grande, cosa che può aiutare nell’ottica di vincere la timidezza. E qui subentra anche l’interesse per la realtà virtuale dell’Oculus. Essere un gigante in una città è come vedere gli uomini grandi quanto formiche, e fa un certo effetto. Poi c’è anche una certa responsabilità nel movimento del “Godzilla”, perché spostandosi la creatura distrugge i palazzi. Già così, insomma, il gioco potrebbe collocarsi come titolo di “edutainment musicale“.

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A questo punto dell’intervista interviene anche Giorgio Pomettini, programmatore e game designer che ha lavorato a diversi progetti interessanti, tra cui BOH, Ram Downhill, Visions of Eris e Only Downward. Lo sviluppatore pone una domanda a Cecere sul suo pacifismo (videoludico – di fatto in Tonzilla non muore nessuno – e non). Ho colto la palla al balzo per fare un’altra domanda.

G: Ma rifiuti la violenza solo nei tuoi giochi o in generale nel medium videoludico?
S: Penso che la violenza nel videogioco abbia una funzione catartica assolutamente necessaria, ma rimango un po’ deluso dal vedere che la maggior parte delle risorse è impiegata per giochi di guerra, in cui sei un soldato che uccide tutti. Si potrebbero cambiare anche le tipologie di gioco. Sono comunque molto più favorevole ad un Call of Duty, piuttosto che a un GTA. La violenza che porta avanti GTA è molto peggiore, secondo me. Certo, noi abbiamo la capacità di distinguere realtà e finzione, ma penso che, a livello di modelli personali, un certo tipo di violenza influisca molto, a livello psicologico. Sono anche piuttosto preoccupato anche dei modelli di femminilità proposti. Certe immagini si portano avanti per tutta la vita. “Iniettare” altri tipi di modelli è importante e necessario.

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G: Quali sono i giochi che consideri importanti per te, in quanto sviluppatore?
S: Io sono un gran giocatore di titoli d’avventura, quindi mi piacciono molto tutti i lavori della LucasArts. Poi WipeOut, tutti i giochi impegnativi e velocissimi, i puzzle game e, in generale, le avventure molto difficili.

G: Parliamo un po’ di Oculus e VR
S: Stamattina leggevo che Oculus ha intenzione di aprire questo autunno l’Oculus Store, che consentirà di pubblicare i giochi sul negozio e renderli disponibili agli utenti! Questo aprirà le porte a un mare di sviluppatori! È in corso una democratizzazione interessante: per me è fantastico che la gente abbia mezzi di espressione e li utilizzi, anche se il risultato lo giocano poi i soliti venti amici. Io sono molto più contento di vedere diecimila giochi brutti, piuttosto che due giochi e basta. Visto che siamo molto “castrati”, è fondamentale attuare questa rivoluzione, che consiste nel mettere gli strumenti creativi in mano alla gente!

G: Grazie mille del tempo che ci hai dedicato.
S: Grazie a voi!

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