Pubblicato il 29/04/15 da Neko Polpo

Shelter 2: ma anche Shelter 1

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Pochi minuti fa, tornando in macchina dal cinema, ho visto lungo il ciglio della strada un tasso. Ha corso per qualche secondo parallelo all’asfalto per poi infrascarsi in dei cespugli, cancellando ogni mia lecita aspirazione a buttarlo sotto. Mi è capitato pochissime volte di vedere un tasso, e mai avevo avuto l’occasione di guardarlo così da vicino, scorgendo addirittura il tipico muso striato. L’ho preso come un segno. Ho rimandato la recensione che avevo in programma ed ho iniziato a scrivere di Shelter 2, il seguito del survival-drama (con i tassi) sviluppato dagli svedesi Might & Delight.

Naturalmente
Naturalmente Ytwoj è un typo.

Ho giocato i due episodi uno di seguito all’altro, grazie ad un giveaway di Freeplaying.it, per questo mi scuso in anticipo se tutto l’articolo sarà incentrato sul confronto tra i due, ma non ho potuto fare davvero altrimenti. Shelter 1 non mi è piaciuto molto: seppur davvero molto affascinate sotto diversi punti di vista (soggetto, grafica, sonoro), il titolo non è mai riuscito, almeno nel mio caso, a smuovermi emotivamente. Forse ho un cuore di pietra (non ho mai pianto guardando Le Avventure Del Bosco Piccolo) però indubbiamente il primo capitolo della serie mancava diverse occasioni per fortificare il necessario (ai fini dell’esperienza) rapporto affettivo tra il giocatore ed “i suoi” cuccioli. In tal senso la cosa che mi ha dato più fastidio era l’assenza di percezione della fragilità di quei cinque piccoli tassi, ritrovandomi spesso ad identificarli più come delle protuberanze fastidiose da trascinarmi dietro che come legittima prole. Un peccato, visto che la struttura lineare apriva diversi spunti narrativi in grado di far leva su quel tipo di legame. La lacuna diventa ancora più grave se si pensa che quel sentimento doveva nascondere la ripetitività insita nel titolo, dando un senso alla reiterazione delle solite due azioni per tutte le due ore di gioco. Un’esperienza appagante nel comparto audiovisivo insomma, ma nulla più.

La tana
La tana.

Partendo da questi presupposti arriviamo, a quasi due anni di distanza, a Shelter 2. La prima cosa che stupisce di questo seguito è quanto si discosti in termini strutturali dal suo prototipo: uno strappo tanto viscerale che, nel voler probabilmente rimediare ad alcune critiche riguardo l’eccessiva linearità del primo episodio, è andato a creare nuove pesanti problematiche. Ma partiamo da quello di buono che c’è in Shelter 2. L’introduzione (ma anche il finale) rimedia alla grande a quella mancanza di empatia che avevo riscontrato con mamma tasso: la fuga da un branco di lupi e l’arrivo alla tana per il parto sono due grandi momenti. L’intuizione di sfruttare narrativamente lo stacco della nascita è notevole, “vendendola” al giocatore con un diretto confronto tra l’agilità mostrata nello sfuggire ai lupi ed i cauti movimenti richiesti per scortare la nostra cucciolata. Quattro cuccioli di lince stavolta a cui, intelligentemente, ci sarà concesso di affibbiare dei nomi: uno stratagemma per creare da subito un forte legame con loro. Nei primi momenti di gioco dovremmo girovagare da soli, procurandoci il cibo necessario ai nostri micetti per fargli muovere i primi passi. Le tecniche di caccia non sono troppo dissimili da quelle del primo capitolo, permettendo ai giocatori veterani di virare da subito l’attenzione verso i piccoli, ma significativi, miglioramenti grafici. Torna quel particolarissimo stile grafico visto precedentemente, un low poly tappezzato con texture arboree usate per creare un effetto a metà tra il découpage e la carta da presepe, reso ancora più vivo da effetti atmosferici e, soprattutto, da un cambio dinamico delle texture atte a simulare il susseguirsi delle stagioni. Uno sforzo sfruttato solo a metà, visto che i piccoli sentieri di Shelter 1 qui sono sostituiti da tre macro aree che, seppur in grado di regalare scorci niente male, peccano nei dettagli e non restituiscono più quel piacevole effetto diorama.

I cuccioli, ormai cresciuto,  parteciperanno attivamente alle ultime battute di caccia.
I cuccioli, oramai cresciuti, parteciperanno attivamente alle ultime battute di caccia.

Sì tre grosse aree, perché questa volta l’esperienza di gioco è stata travasata dentro un’infrastruttura open-world. Una scelta tragica, che getta alle ortiche tutto quello di buono fatto in fase di costruzione. Il gioco diventa brutalmente noioso, affievolendo coniglio, dopo coniglio, dopo coniglio la tensione del portarsi dietro quattro piccoli esserini indifesi. Mentre i “corridoi” del primo episodio obbligavano a superare con il piccolo branco situazioni difficili (un fiume in piena, un incendio, ecc), in queste nuove praterie non mi sono mai trovato nella spiacevole situazione di dover mettere in pericolo l’incolumità della prole, salvo in due occasioni. Un game design pigro e colpevolmente ripetitivo, che fa troppo affidamento sull’apporto emotivo del giocatore, senza stimolarlo attivamente con una giusta sequenza di eventi. Arginare il difetto spargendo per la mappa dei collezionabili si rivela una scelta decisamente fuori tema; avrei preferito aver la possibilità di poter interagire con i cuccioli, limitando quei momenti in cui la noia prende il sopravvento sull’affetto materno. Quel girovagare a caso, inoltre va, a delegittimare quella che dovrebbe essere l’eccellente abilità di caccia di un felino come la lince, qui trasformato in un grosso gatto domestico, sprovvisto di strumenti predatori in grado di fargli prevedere, ad esempio, dove potrebbe trovarsi la selvaggina in determinate situazioni atmosferiche. I corridoi in cui si muoveva mamma tasso, seppur limitanti, “simulavano” quella sicurezza, dettata dall’istinto materno, necessaria per prendersi cura della propria famiglia

Quando le prede si confondono con l'ambiente possono essere evidenziate grazie al fiuto di lince.
Quando le prede si confondono con l’ambiente possono essere evidenziate grazie al fiuto di lince.

Shelter 2 è un’occasione persa. Un episodio che, invece di limitarsi ad essere riparatorio, ha fallito nel cercare ambizioni al di fuori dalla propria portata. Un gioco che continuo però a definire interessante e degno di essere giocato, anche solo per l’eccellente estetica ed il finale ben costruito, spoilerato qui e qua.

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