Pubblicato il 08/09/17 da Neko Polpo

Last Day of June – L’arte ci salverà?

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Quale posto migliore di quel romantico molo sul lago, per dare a Carl il regalo confezionato con così tanta cura? Un luogo legato a ricordi speciali, che ha rivestito un ruolo importante nella storia di Carl e June. E così, in un bellissimo pomeriggio autunnale, mentre il sole comincia ad abbassarsi all’orizzonte, inondando di caldi colori il piccolo villaggio in cui i due innamorati vivono, June si appresta a far aprire il pacchetto al suo amato. Ma, si sa, il tempo cambia velocemente, e un brutto acquazzone interrompe il magico momento, costringendo i due a una corsa verso l’automobile per tornare al riparo delle mura domestiche. Quello che sembrava solo un brutto contrattempo, in una serie di sfortunati eventi, si tramuta repentinamente in una vera e propria tragedia. L’automobile finisce fuori strada e nell’incidente Carl perde l’uso delle gambe. Ancora più tragicamente, in quel colorato pomeriggio in cui tutto sembrava così tranquillo e perfetto, nello stesso, improvviso incidente, June perde la vita.
Ancora affranto nonostante il passare del tempo, incapace, pur sforzandosi, di alleggerire il peso di un’esistenza segnata da un evento tanto devastante, Carl è costretto da semplici circostanze della quotidianità a tornare nel piccolo atelier domestico dove June si ritirava a dipingere. Oltre a un mare di emozioni, dentro quella piccola stanza rimasta chiusa, negli olii sapientemente spalmati sulle tele, si cela un misterioso prodigio: usando i ritratti dipinti da June, Carl potrà cambiare gli eventi di quel tragico giorno, e forse, riuscendo a interrompere quella disastrosa concatenazione di avvenimenti, a evitarne il terribile epilogo.

Evidentemente June ha iniziato la sua carriera di pittrice facendo copie di opere famose.

Si apre con queste amare e romantiche premesse il secondo lavoro di Ovosonico, che, dopo l’esordio su PlayStation Vita con Murasaki Baby nel 2014, ha pubblicato con 505 Games questo nuovo titolo su PlayStation 4 e PC. Prima di parlare delle meccaniche del gioco, invero piuttosto marginali, mi sembra opportuno specificare che quello ideato da Massimo Guarini è un gioco che presenta una sua tesi, una sua visione del mondo, in qualche modo filosofica. O meglio, più che una presa di posizione o la presentazione di un punto di vista, quella che mette in atto Last Day of June è una specie di discussione, in cui la propria tesi, il proprio punto di vista, viene costantemente messo alla prova dalle vicende di Carl e dei personaggi che popolano il piccolo villaggio in cui egli vive. Come si sarà intuito leggendo il paragrafo precedente, il gioco non tratta argomenti nuovi, ma, anzi, percorre delle strade ampiamente battute, raccontandoci una vicenda in qualche modo già vista, da cui emergono delle riflessioni assolutamente non aliene al mondo della letteratura e del cinema, ma nemmeno a quello dei videogiochi. Tuttavia, la narrazione di Last Day of June è davvero molto sentita: si riesce chiaramente a percepire come il suo creatore abbia cercato di rendere il proprio microcosmo umano, animato. Non si può non apprezzare come tutti i personaggi in scena, e non solo Carl e June, siano dotati di una propria personalità e una propria storia non esente da conflitti (perlopiù interiori), che sarà piuttosto interessante scoprire nel corso dell’avventura. Ed è altrettanto piacevole percepire come i trascorsi dei personaggi siano tutti legati da un fil rouge tematico: ognuno di loro, anche se con modalità del tutto differenti, ha avuto a che fare con una perdita, una separazione, esattamente come il povero Carl.

In verità, attraverso l’espediente dei ritratti, nel corso del gioco vestiremo non solo i panni di Carl, che, sulla sua sedia a rotelle, si muoverà in un mondo trasognato, tra l’onirico e il reale, cercando di trovare il modo di rimettere le cose a posto, ma anche quelli di tutti gli abitanti del villaggio, rivivendo con loro l’ultimo giorno di vita di June, nel tentativo di modificare gli eventi e di riparare al danno.
Sebbene in sostanza il gameplay si risolva in qualche interazione ambientale e in qualche piccolo, semplice puzzle, c’è da dire che la caratterizzazione dei personaggi si riflette anche nelle loro azioni: se, ad esempio, con il Ragazzino dovremo tirare il pallone contro diversi bersagli, con il Cacciatore ci troveremo a sparare – ovviamente senza mai fare centro – ad animaletti piuttosto dispettosi.
Dal momento che potremo (e dovremo!) rivivere più volte le giornate dei diversi personaggi, l’interazione col mondo di gioco di uno dei coprotagonisti permetterà di ampliare le possibilità d’azione dell’altro, consentendogli ad esempio l’accesso a nuove aree, a nuovi oggetti e, pertanto, a nuovi epiloghi. Questo alternarsi dei personaggi, inoltre, darà modo a ciascuno di loro di ottenere cinque collezionabili. Questi, per fortuna, non costituiscono una caccia al tesoro fine a sé stessa: formano una piccola raccolta di cinque illustrazioni che, riunite, ci raccontano un evento fondamentale nella storia del personaggio. Non ho potuto non ripensare alle memorie nascoste nei bauli che si potevano trovare in Psychonauts (forse il più bel lavoro di Double Fine), e ai sorrisi malinconici che, pure quelle, avevano suscitato in me.

Nonostante la totale assenza di dialoghi intelligibili, tutti i personaggi di Last Day of June hanno qualcosa da dire, un segreto da rivelare.

Un aspetto molto discusso fin dai tempi dell’annuncio di Last Day of June è stato quello concernente la sua colonna sonora. Essa è, infatti, costituita da vari brani estratti da diversi lavori di Steven Wilson. Pezzi che lo stesso Wilson ha raccolto in modo che sembrassero un lavoro coeso, piuttosto che il frutto di decenni di carriera (sia da solista, sia col noto gruppo alt-rock/prog Porcupine Tree), e quindi più adatto a fare da colonna sonora a una storia.
Interessante è come la genesi dell’opera sia strettamente legata al lavoro di Wilson: in un certo senso, la colonna sonora di Last Day of June era qui ancor prima che il gioco fosse concepito, ed è proprio su quei pezzi strumentali malinconici e agrodolci che la storia si è sviluppata. Nella fattispecie, il nucleo centrale del racconto è ispirato al video del brano “Drive Home“dello stesso Steven Wilson, la cui regia è stata affidata a Jess Cope (in precedenza già animatore nella versione stop motion di Frankenweenie di Tim Burton). Altrettanto interessante è come la stessa Jess Cope, dopo Steven Wilson, sia stata coinvolta nella scrittura e nella direzione del progetto di Ovosonico. Si deduce come il video del pezzo succitato, quindi, sia stato molto più di una semplice fonte di ispirazione, quanto piuttosto un vero e proprio motore creativo per l’opera di Guarini.
Paradossalmente, uno dei miei principali problemi con Last Day of June è proprio legato a quello che dovrebbe essere il pilastro portante del titolo, ovvero la sua colonna sonora. Da un lato, infatti, è innegabile che le note di Wilson riescano davvero a suscitare intense emozioni durante la narrazione della storia, pure in uno che, come me, non può certo definirsi un amante della sua musica. Dall’altro, però, ho avvertito, in alcune scene, una sorta di distacco tra la storia di Carl e di June e la colonna sonora che la accompagnava. In un paio di sequenze questa dissonanza (intesa in termini narrativi, non musicali) è stata per me così intensa da farmi sospettare che i pezzi siano stati inseriti più per il desiderio di averli nel gioco, che per l’effettiva pertinenza o la capacità di amplificare la carica emotiva delle scene stesse.

Sotto il profilo visivo, invece, Last Day of June è un centro praticamente perfetto: il suo stile grafico combina in un modo misteriosamente eccelso un gusto decisamente stop motion per il design dei personaggi e le loro animazioni – probabilmente preso direttamente in prestito dal video girato da Jess Cope – con uno stile delle ambientazioni che rimanda ai dipinti ad olio, con toni ora soffusi e mescolati, ora fulgidi e intensi. Con questo stile Ovosonico ha saputo amplificare quel tono da dormiveglia che permea il titolo, coi suoi numerosi salti temporali e le sue visioni misteriose: da un lato creando una piacevole ambiguità tra la realtà “ad olio” e i dipinti di June, dall’altro rendendo il mondo allo stesso tempo inquietante e “magico” mediante alcuni espedienti che mi hanno ricordato un po’ i primi lavori dello studio Laika (vi sfido, in una particolare scena, a non ripensare a Coraline, del 2009). Cito nuovamente, perché le ho apprezzate molto, le illustrazioni collezionabili riguardanti le vite degli abitanti del piccolo villaggio.

Lo stile artistico è davvero fenomenale.

Oltre a quanto già detto sulla colonna sonora, purtroppo il gioco presenta altri spigoli che avrebbero necessitato di una maggior smussatura. Una scelta che ho trovato davvero molto fastidiosa è stata quella di costringere il giocatore a vedere più e più volte diverse sequenze di intermezzo, ricorrenti nei diversi ricordi: pur avendole già visionate una prima volta, infatti, non avremo alcun modo di saltarne la riproduzione. Se peraltro si considera che, pur sviscerando Last Day of June in ogni suo aspetto, non si riuscirà ad arrivare oltre le tre, massimo quattro ore di gioco, beh, diventa difficile non farsi qualche idea un po’ maliziosa su queste ripetute, inevitabili sequenze.
Meno rilevanti e probabilmente più legate alla mia sensibilità, invece, sono alcune critiche che sento di dover muovere alla scrittura del racconto. Evitando accuratamente spoiler, mi limito a dire che, se da un lato infatti hanno permesso di scansare in parte il rischio che le tematiche sprofondassero inesorabilmente verso le conclusioni più ovvie, alcuni ribaltoni riguardanti l’approccio del gioco alla propria filosofia iniziale mi hanno lasciato un po’ stranito, quasi perplesso. Se quindi il titolo vanta una grande cura e un’evidente personalità sotto il profilo formale e in gran parte della sua appassionata scrittura, è anche vero che la storia raccontata, e, soprattutto, gli spunti di riflessione che essa offre, sono completamente già visti e in alcuni (pochi) frangenti un po’ confusionari.

Quel dannato regalo, il primum movens della deleteria concatenazione di eventi che hanno portato alla morte di June.

Ho scritto molto riguardo a questo titolo italiano, cercando di restare per quanto possibile oggettivo, senza farmi prendere da alcuna forma di campanilismo. In quest’ottica, alla fine di questa piccola disamina dell’ultimo lavoro di Ovosonico, ne consiglio l’acquisto, magari in saldo. Questo perché, data la sua ridottissima durata, ad alcuni potrebbe sembrare eccessivamente costoso. Si parla comunque di un gioco che, nonostante alcuni evidenti difetti, merita attenzione, soprattutto perché artisticamente di alto profilo e frutto di una palpabile passione. Ovosonico ha fatto un netto passo avanti rispetto al suo primo lavoro, e credo che abbia ancora tanto da dare al mondo videoludico italiano e internazionale. Nell’attesa di vedere cosa ci offrirà il futuro, godiamoci questa breve, onirica, agrodolce storia di amore, e di perdita.

Stile artistico

  • Artisticamente molto ispirato
  • Colonna sonora di Steven Wilson
  • Storia raccontata con passione
  • Design di personaggi e ambientazione

 

  • Scene ripetute non skippabili
  • Breve e facilissimo

 

NekoPolpo - Biografia

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