Pubblicato il 24/06/18 da Sara Porello

Dipendenza da videogiochi

Ma è questo il problema?

Già da qualche mese era in corso un intenso dibattito, che ha coivolto medici, psicologi, sociologi e, naturalmente, opinionisti e comuni gamer (e non). Qualche giorno fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente inserito la dipendenza da videogiochi (gaming disorder) tra le patologie mentali nell’International Classification of Diseases, assimilandola ad altre malattie relative al controllo degli impulsi (come il gioco d’azzardo, per intenderci).

La questione ha comprensibilmente avuto una certa eco nel mondo videoludico; ma se allarghiamo leggermente l’orizzonte e spostiamo lo sguardo appena oltre questo confine, io francamente non capisco dove sia la “notizia”.

Da che mondo è mondo, è pacifico che qualsiasi cosa, se portata all’eccesso, è dannosa. Quindi non si capisce perché per i videogiochi dovrebbe essere diverso. Il rischio, semmai, è che questa “notizia” contruibuisca a peggiorare significativamente l’opinione che chi non appartiene al mondo videoludico ha dei videogiochi, che già sono percepiti da buona parte degli “esterni” come un hobby pericoloso, da disadattati, che porta alla violenza.
La causa di questo è ben nota, ed è da attribuire a titoli e articoli sensazionalistici apparsi nel corso del tempo sui mezzi d’informazione, in cui si collegavano, spesso in modo piuttosto arbitrario, fatti di cronaca nera e videogiochi: i protagonisti di questi episodi (assassini, stragisti) sono stati spesso descritti ponendo un accento esagerato sul fatto che giocassero a “videogiochi violenti”, che avessero una “dipendenza dai videogiochi” o addirittura che avessero compiuto gli atti “per colpa dei videogiochi”.

Con tali premesse, è abbastanza comprensibile che la decisione dell’OMS (sacrosanta, in quanto basata su valutazioni scientifiche oggettive) potrebbe facilmente esacerbare questo pregiudizio diffuso, e addirittura trasformarlo in allarmismo. E quale momento storico migliore di questo, dal momento che la tendenza delle masse è ormai (ma probabilmente, da sempre) quella di abbracciare le semplificazioni e lasciarsi abbindolare da chi promette facili soluzioni.

Il “problema”, quindi, è di carattere sociale piuttosto che medico: il gaming disorder individuato dall’OMS riguarderà certamente una percentuale limitata di videogiocatori, mentre il pregiudizio sui “videogiochi che fanno diventare violenti i giovani” investe di sicuro una porzione ben più ampia dell’opinione pubblica.

Da una parte, quindi, l’indignazione e il “senso di persecuzione” di certi videogiocatori come reazione a questa decisione paiono assolutamente fuori luogo. Dall’altra, è responsabilità della stampa generalista evitare di alimentare la diffusione di allarmismi e atteggiamenti di ostilità immotivata nell’opinione pubblica, e di “emarginare” ulteriormente il mondo videoludico e chi, a vario titolo, ne fa parte.

A proposito della dipendenza da videogiochi, infine, credo che sarà interessante consultare le statistiche in proposito, tra qualche mese. Potrebbero riservare delle verità insapettate, come ad esempio che la percentuale di videogioco-dipendenti è più alta tra i casual gamer che giocano a Candy Crush Saga rispetto agli hardcore gamer impegnati a giocare alla guerra nei “videogiochi violenti”.

Sara Porello - Biografia

Fin dalla più tenera età è affascinata dall’universo nerd, ma per anni ne resta ai margini. E poi… Le cattive compagnie finiscono per trascinarla completamente dentro. Giocatrice da tavolo, di ruolo, di videogames. Se si può giocare, lei lo gioca. Appassionata di cinema e serie TV, di manga e anime. Adora il Giappone, adora oggetti e animali kawaii. Adora, sopra ogni cosa, i coniglietti.